A cura di Fabrizio Fusco, pediatra du faniglia a Valdagno (VI)
Il treno dei bambini, di Viola Ardone
Einaudi Stile libero, 2019. 17.50 euro
Libro assolutamente “pediatrico”, una vicenda appassionante che parla di bambini e che i pediatri devono assolutamente leggere. È una storia che mette insieme una serie di caratteristiche italiane: il neorealismo, il dopoguerra, i bambini che ce la vogliono fare, Napoli e il Sud, la povertà. Narra di una vicenda vera, poco nota, del dopoguerra, documentata qualche anno fa da un libro di Giovanni Rinaldi (“I treni della felicità”) e da un documentario di Alessandro Piva (“pasta nera”): bambini del Sud «adottati» per brevi periodi da famiglie del Nord. Migliaia di bambini, alcuni figli di braccianti pugliesi finiti in carcere dopo la dura repressione del governo Scelba, ma soprattutto bambini poveri ed affamati, figli di famiglie del Sud in difficoltà economiche, furono fatti partire con questi treni e portati prevalentemente in Emilia Romagna, ma anche in altre regioni del centro-nord, da famiglie contadine che li accolsero festosamente e con grande affetto, tanto che il legame con la famiglia ospitante in quasi tutti i casi durò oltre questa seppur breve esperienza; tutto questo grazie all’idea e alla organizzazione delle donne del partito comunista, dell’UDI e delle ex partigiane. Non si trattò nella maggioranza dei casi di adozioni o affidi in senso stretto, ma di una sorta di soggiorno in “colonia”, più lunga del solito, dell’ordine di alcuni mesi e solo raramente più a lungo. Si trattò di uno dei migliori esempi di solidarietà tra Nord e Sud, guidato dallo spirito della Resistenza, di cui pochi portano il ricordo.
Nello specifico è la storia di Amerigo, settenne, e della sua mamma, famiglia poverissima che viveva in un basso napoletano, tra gli stenti del dopoguerra, tra espedienti e difficoltà di unire il pranzo alla cena.
Nel libro ci sono molte scene potenti, una delle quali avviene in stazione, alla partenza del treno: i bambini lanciano dal finestrino i cappotti nuovi che erano stati loro forniti prima del viaggio, per lasciarli ai fratellini che restavano a Napoli, tanto a loro li avrebbero ricomprati…
Cito anche un paio di episodi simpatici: alcune comari, parroci ed altri oppositori dell’iniziativa avevano messo in giro la voce che i comunisti mangiassero i bambini e che i treni in realtà non fossero diretti al nord ma in Siberia, dove i comunisti appunto li avrebbero cotti al forno o avrebbero loro tagliato le mani ed i piedi. Figuratevi l’angoscia di quei poveri bambini che avevano sentito quelle voci ed il sollievo al loro arrivo, di fronte alla grande accoglienza, con tanto cibo e tante feste, delle famiglie accoglienti, tanto da far affermare a Tommasino: “Altro che comunisti che si mangiano i bambini. Qua, se non si stanno accorti, ci mangiamo noi a loro!”
Ma soprattutto lo stupore di fronte alla prima neve (“ ‘a ricotta…a’ ricotta!” esclama Mariuccia) alla nebbia (“fumano assai, qua sopra…”) ma soprattutto di fronte alla mortadella (“prosciutto rosa con le macchie bianche”, “prosciutto con le bolle”).
Il treno dei bambini è la storia commovente di una separazione, ma talvolta si deve rinunciare a tutto, anche all’amore della mamma, per scoprire il proprio destino. Ed è proprio quello che Amerigo fa.
Viola Ardone, professoressa di lettere al liceo scientifico “De Carlo” di Giugliano, è bravissima a descrivere la situazione. Adotta una lingua, che per certi versi è simile al siciliano dei libri di Camilleri: in questo caso è un napoletano italianizzato che rende brillante e piacevole la lettura.