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GLI STRUMENTI DIAGNOSTICI PER SARS-COV-2

A cura di Antonino Gulino, membro segreteria scientifica nazionale

L’esperienza maturata in questi mesi ha permesso di sospettare e individuare precocemente l’infezione da Covid-19, ma la certezza diagnostica è comunque rimandata a indagini di laboratorio, abbiamo pertanto ritenuto utile provare ad esaminare i test diagnostici disponibili allo stato attuale.

Tampone rino-faringeo

Il tampone rino-faringeo rappresenta lo strumento diagnostico per eccellenza, serve per diagnosticare la presenza del Covid-19 nell’organismo e quindi l’infezione. Il tampone è un esame rapido (eseguito in pochi secondi), semplice, ma non può essere fatto da chiunque, deve essere eseguito da personale addestrato e protetto. I campioni devono essere inviati immediatamente al laboratorio o in alternativa possono essere conservati in frigo (+4°C) per un tempo < 48 ore, se il campione non può essere processato entro 48 ore va conservato a –80°C. Dal materiale biologico prelevato viene effettuata l’estrazione e la purificazione dell’RNA per la successiva ricerca dell’RNA virale utilizzando una metodica molecolare rapida: Reverse Real-Time PCR (rRT-PCR). La Reverse transcriptase-polymerase chain reaction (abbreviato RT-PCR) o reazione a catena della polimerasi inversa è una metodica che permette la simultanea amplificazione e quantificazione di piccole porzioni di DNA o RNA in modo specifico e riproducibile. Questa procedura applica una “one-step real-time RT-PCR”, in cui la retrotrascrizione e l’amplificazione in PCR sono effettuate consecutivamente nella stessa provetta di reazione. Il bersaglio genico, qualora fosse presente nel campione il genoma virale, viene amplificato e intercettato da specifiche sonde molecolari. I protocolli diagnostici sono quelli suggeriti sul sito dell’OMS (https://www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/technical-guidance /laboratory-guidance). La durata dell’analisi in Real time PCR è di circa 1 ora e 30 minuti a cui andranno aggiunti i tempi di estrazione dell’RNA, per un totale di circa 4 ore, nel calcolo del tempo necessario per l’esecuzione del test bisogna tenere in considerazione anche il momento di accettazione e preparazione del campione e le fasi di validazione del test. Meritano comunque di essere citati anche altri filoni di ricerca, a breve sarà possibile avere un test alternativo alla RT-PCR basato sulla tecnologia CRISPR, utilizzata non solo nell’editing genetico, ma anche per le sue potenzialità diagnostiche

 Test sierologici

L’avvio in sicurezza della fase due necessita di alcune fondamentali informazioni, in particolare è fondamentale determinare la siero prevalenza in una determinata popolazione per definire l’esposizione precedente nonché per fornire informazioni su pazienti asintomatici che potrebbero aver svolto un ruolo importante nella trasmissione di COVID-19. Lo strumento più idoneo a svolgere un tale compito è certamente quello dell’esame sierologico per la ricerca degli anticorpi sviluppati dall’organismo in risposta al SARS-CoV-2.

I test sierologici sono essenzialmente di due tipi: quelli qualitativi (o rapidi) e quelli quantitativi. I primi, grazie ad una goccia di sangue, stabiliscono se la persona ha prodotto anticorpi, quindi è entrata in contatto con il virus; i secondi, per i quali occorre un prelievo di sangue, dosano in maniera specifica la quantità di anticorpi prodotti. Entrambi i tipi di test sierologici vanno alla ricerca degli anticorpi (immunoglobuline) IgM e IgG. In caso di infezione, le IgM vengono prodotte per prime; con il tempo il loro livello cala per lasciare spazio alla produzione di IgG. Quando nel sangue vengono rilevate le IgG significa che l’infezione si è verificata già da diverse settimane, anche se ancora non si conoscono i tempi precisi.

I test qualitativi o rapidi si basano sulla tecnica di immunocromatografia e danno una risposta, positiva o negativa, in tempi molto brevi, solitamente entro 15 minuti, senza dare alcuna informazione sulla quantità di anticorpi prodotta. Questi test sono semplici ed economici; hanno, però, bassa affidabilità in termini di specificità e sensibilità.

I test quantitativi, invece, permettono di conoscere la quantità di anticorpi prodotta da un individuo; con questi test è possibile seguire la variazione della produzione anticorpale effettuando prelievi nel tempo.

Gli anticorpi ricercati sono prodotti in risposta a specifici antigeni virali. In particolare si è visto che i membri della famiglia dei coronavirus hanno quattro principali proteine strutturali: le proteine del picco [S], della membrana [M], dell’involucro [E] e dei nucleocapsidi [N].  Queste proteine sembrano essere importanti siti antigenici e quindi sono state utilizzate per lo sviluppo di test sierologici per rilevare COVID-19. La proteina N dei coronavirus in particolare è un componente strutturale del nucleocapside elicoidale e ha un’importante funzione nella patogenesi virale, nella replicazione e nell’imballaggio dell’RNA. Il secondo sito antigenico è la proteina S, una glicoproteina composta da due sub-unità (S1 e S2). Esse compongono i picchi che sporgono dalla superficie virale  e ne facilitano l’ingresso nelle cellule ospiti. Attualmente le metodiche validate per la ricerca quantitativa degli anticorpi diretti verso SARS-CoV-2 sono la chemiluminescenza (CLIA) e la metodica ELISA. Recentemente uno di questi test è stato realizzato ad Atlanta, presso il Dipartimento di Patologia guidato da un italiano, Guido Silvestri, autore peraltro del libro” Uomini e virus”, è un ELISA (Enzyme Linked Immune Sorbent Assay), che usa la subunità S1 della proteina S come antigene ed ha sensitività del 97-98% e specificità >95%. In atto i test sierologici mettono in evidenza la risposta del sistema immunitario all’infezione ma la rilevazione degli anticorpi non permette di stabilire se il virus, in particolare il SARS CoV-2, è ancora in fase di crescita (fase replicativa): un risultato negativo, quindi, non esclude la possibilità di infezione in atto in fase precoce. Inoltre la possibile cross-reattività con altri patogeni affini, per esempio altri coronavirus umani potrebbe rendere il rilevamento degli anticorpi non specifico della infezione da SARS-CoV2. I test sierologici pertanto non possono essere considerati diagnostici ma sono indispensabili per descrivere lo stato attuale di immunizzazione della popolazione e per rendere più sicura la delicata fase di ritorno alla “normalità”. Sono in corso di valutazione test per la ricerca degli anticorpi IgM, questi test potrebbero essere di aiuto alla diagnosi, soprattutto nei casi di soggetti asintomatici o pauci-sintomatici, anche se la diagnosi di certezza è subordinata alla presenza del virus nel tampone rino-faringeo. Molte aziende farmaceutiche si sono in questi giorni impegnate per realizzare test affidabili, la FDA ha ricevuto oltre 500 richieste di validazione di test ma lo stesso ente mette costantemente all’erta su possibili casi fraudolenti. In Italia è di queste ore la notizia che la società Abbott è assegnataria del bando per i 150mila kit di test sierologici. Il test IgG SARS-CoV-2 di Abbott identifica l’anticorpo IgG e ha dimostrato una specificità e una sensibilità nel rilevare gli anticorpi IgG superiore al 99 per cento 14 giorni o più dopo l’insorgenza dei sintomi. La stessa azienda, ma non è la sola, sta validando anche un test sierologico per la determinazione qualitativa delle IgM dirette contro il SARS COV-2, un ulteriore passo come già detto per individuare i possibili pazienti asintomatici o paucisintomatici e desinata a incidere sui nostri comportamenti. (vedi Tab)

Presenza IgM Anti COV

Possibile stato di malattia in atto o recente

Approfondimento diagnostico mediante esecuzione

di tampone per la ricerca del genoma virale di SARS – COV2

Presenza IgG Anti COV

Indica un avvenuto contatto con il virus, ma il paziente potrebbe essere   ancora contagioso

Eseguire tampone per la ricerca del genoma virale di SARS – V2

Assenza di IgM e IgG

Anti COV

Il soggetto non è entrato in contatto con il virus Covid19

Se il soggetto è stato esposto a contagio potremmo aver eseguito il test durante il periodo di latenza tra contagio e comparsa delle IgM Ripetere dopo 7 giorni il test

Supporti diagnostici

Accanto ai test sierologici non dimentichiamo infine i tradizionali supporti diagnostici, l’emocromo ad es. che si caratterizza in una alta percentuale di casi con una linfopenia. Quasi sempre la PCR è aumentata, mentre normale è la calcitonina. Indici di allarme sono l’incremento della ferritina (linfoistiocitosi emofagocitica!) o i segni di danno funzionale epato-renale. Importante la valutazione del D-dimero per prevenire i danni da tromboembolismo e la grave evoluzione verso la CID. Importante anche a livello domiciliare l’uso dei pulsiossimetri, mentre l’ecografia polmonare o la TC dimostrano già nel secondo stadio della malattia la tendenza all’evoluzione drammatica in polmonite interstiziale e ARDS.