Comprendere il discomfort per il trattamento appropriato della febbre
Mattia Doria1, Domenico Careddu1, Flavia Ceschin1, Maria Libranti1, Valentina Perelli2, Monica Pierattelli1, Elena Chiappini3
- Pediatra di Famiglia, Federazione Italiana Medici Pediatri;
- Psicologa-psicoterapeuta, IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa;
- SOD Malattie Infettive, Ospedale Pediatrico Universitario Meyer, Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di Firenze
PREMESSA
Pur essendo disponibili linee guida nazionali e inter- nazionali sulla gestione della febbre in età pediatrica e adolescenziale, persistono alcune pratiche inappro- priate sia da parte dei genitori e di chi si occupa del bambino (caregivers) sia da parte degli operatori sa- nitari sia dei farmacisti. Lo sforzo di gestire la febbre con il preminente obbiettivo di riportare il bambino a una condizione di normotermia può condurre alla scel- ta di farmaci inappropriati per la gestione del sintomo, come i cortisonici, oppure alla combinazione od alter- nanza di trattamenti antipiretici non necessari. Da oltre 35 anni si è diffuso il concetto di fever-phobia per de- scrivere l’ansia nei confronti della febbre che in parte è causata dalla sovrabbondante e persistente diffusione, aumentata anche dall’utilizzo dei social media, di in- formazioni non basate su evidenze scientifiche. È sem- pre importante, quindi, che il Pediatra continui a fornire un’adeguata informazione ai genitori per valutare la comparsa di segni e sintomi di un’eventuale patologia severa sottostante e per indagare lo stato di malessere del bambino piuttosto che concentrarsi solo sul grado della temperatura.
Le linee guida, infatti, suggeriscono di trattare il pa- ziente febbrile soltanto in caso di discomfort (males- sere); tuttavia, non essendo presente in letteratura una definizione chiara e univoca di discomfort, l’approccio al paziente febbrile si è sempre concentrato principal- mente sull’abbassamento della temperatura corporea.
Ecco perché un chiarimento delle dimensioni del disa- gio del bambino febbrile e degli strumenti utili a valutar- lo aiuterebbe a rendere operativa la raccomandazione secondo la quale è opportuno che sia il malessere as- sociato alla febbre a guidare la necessità di un tratta- mento con antipiretico 1.
OBIETTIVO
Obiettivo di questo “expert opinion paper” è condi- videre una definizione di discomfort e un metodo per valutarlo, utile per migliorare la gestione nel bambino febbrile e per promuovere l’adesione alle linee guida da parte di sanitari e caregivers.
METODI
Per affrontare la tematica in oggetto che ha come target principale l’Assistenza Primaria (Primary Health Care), è stata utilizzata la metodologia della narrative litera- ture review. Dunque, per realizzare il seguente lavoro, è stata condotta una ricerca all’interno della principale banca dati di medicina e scienze affini, Pubmed, utiliz- zando la seguente stringa di ricerca:
fever[MeSH Terms] AND children[MeSH Terms] AND discomfort[Title/Abstract] AND
((“2000/01/01”[PDat]: “2019/06/24”[PDat])
AND (English[lang] OR Italian[lang])) Parallelamente è stata effettuata anche una ricerca ma- nuale.
Sono stati applicati filtri specifici alla ricerca: pubblica-zioni degli ultimi 19 anni, in lingua inglese o italiana, che comprendessero solo soggetti di età compresa tra i 3 mesi e i 18 anni. Si è deciso di escludere la popo- lazione 0-3 mesi poiché, in caso di febbre, in questa fascia di età è consigliabile uno stretto monitoraggio del paziente e l’eventuale valutazione in setting ospe- daliero.
Vengono altresì esclusi gli articoli riguardanti comor- bidità quali tumori, patologie cardiovascolari, immu- nodeficienza, interventi chirurgici e post-operatorio, patologie nefro-epatiche, febbre tifoide, tonsillectomia. I risultati della nostra ricerca hanno condotto a 45 arti- coli coerenti con i criteri di inclusione ed esclusione, le cui caratteristiche vengono specificate nell’Allegato A.
DIMENSIONI DEL PROBLEMA
La febbre è il sintomo più comune in Pediatria, rappre- sentando la principale causa di triage telefonico e la ragione di oltre il 30% di tutte le visite pediatriche 2.
La febbre è definita come un incremento della tempera- tura corporea centrale al di sopra dei limiti di normalità che, per le linee guida italiane e in accordo alla defi- nizione pratica fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), equivale a una temperatura com- presa tra 36,5 e 37,5°C misurata a livello ascellare 3. Benché sia ben acquisito il concetto che l’aumento della temperatura corporea rappresenti un meccani- smo fisiologico e benefico per contrastare le infezioni, che ne sono la causa più frequente in età pediatrica, l’alterata percezione del “rischio” correlato alla febbre continua a persistere nell’opinione comune e coinvolge non solo genitori/caregivers, ma anche medici, farma- cisti e operatori sanitari.
La preoccupazione per un aumento della temperatu- ra nel bambino può essere comprensibile in funzione del fatto che essa potrebbe essere, anche solo poten- zialmente, il segno di una patologia grave; l’ansia eccessiva in presenza di un rialzo termico, tuttavia, è ingiustificata e controproducente e rischia di determi- nare ulteriore stress nel bambino sottoposto a misura- zioni ravvicinate della temperatura e di comportare un intervento terapeutico non necessario, inappropriato e talvolta rischioso per la salute (aumento degli effetti collaterali).
Sono numerosi gli studi che rivelano come il fenome- no della “fever-phobia” sia la reale guida ansiogena responsabile di comportamenti errati 1 e il principale ostacolo all’applicazione delle raccomandazioni delle linee guida 3. La fobia della febbre è, peraltro, un pro- blema comune a livello internazionale, indipendente dal tipo di organizzazione dei sistemi sanitari e dalla tipologia dell’assistenza erogata, ed è un argomento che tutti i Pediatri, in ogni parte del mondo, affrontano in maniera crescente nonostante le evidenze oramai disponibili sull’argomento. Seppure negli anni le cono- scenze sulla gestione del bambino con febbre siano migliorate, i comportamenti continuano a conformarsi assai poco alle linee guida: molti genitori/caregivers continuano a utilizzare i tradizionali mezzi fisici e a somministrare farmaci antipiretici con indicazioni e po- sologia inappropriate 2; d’altro canto, la mancanza di indicazioni universalmente condivise dalle comunità scientifiche, favorisce la diffusione, anche tra gli ope- ratori sanitari, di pratiche discrepanti rispetto a quanto raccomandato dalle linee guida 2.
Per esempio, sebbene le linee guida italiane ne scon- siglino l’uso, in letteratura non vi è unanime accordo sull’utilizzo dei mezzi fisici per abbassare la febbre 4. Spugnature con acqua o alcool, immersioni in acqua fredda, clisteri freddi o applicazione di borse di ghiac-
cio, non agendo sul set point ipotalamico, riducono solo temporaneamente e modestamente la temperatura (-0,2°C) a fronte di un rischio di effetti collaterali anche gravi (irritabilità, pianto, aumento paradossale della temperatura corporea, brividi scuotenti, ipoglicemia, coma o decesso per uso di alcool etilico o isopropi- lico) 5; tali metodiche rappresentano tuttavia pratiche ancora molto diffuse, spesso finalizzate al contenimen- to dell’ansia del genitore o dell’operatore.
Per questo nasce l’esigenza universale di una comu- nicazione forte, univoca e coerente sulla gestione del bambino con febbre 6-8; sono necessari programmi educativi puntuali focalizzati sull’importanza di consi- derare la febbre come meccanismo filogeneticamente adattativo e che aiutino a definire e identificare sin- tomi e segni di oggettiva pericolosità, distinguendoli da quelli meno significativi, spostando l’attenzione dall’entità del rialzo febbrile all’effettivo malessere del bambino. Una corretta informazione deve raggiungere chiunque si occupi di bambini, ovvero medici, opera- tori sanitari, farmacisti, insegnanti, genitori e caregi- vers in generale, passando dall’obiettivo ansiogeno di raggiungere la normotermia a quello di una gestione adeguata e razionale della condizione generale e del comfort del bambino.
Poiché è noto che i comportamenti e le credenze dei genitori possono essere notevolmente influenzati dall’at- teggiamento dei Pediatri, diventano fondamentali gli interventi educativi finalizzati alla corretta gestione del bambino febbrile attuati precocemente nel setting di assistenza primaria 9.
IL DISCOMFORT NEL BAMBINO CON FEBBRE
Le linee guida sulla gestione della febbre (Canada, Francia, USA, UK, Italia, OMS) concordano sulla necessità e sull’importanza di valutare il livello di di- scomfort che deve essere considerato l’unico vero ra- zionale della farmacoterapia sintomatica.
Non esiste, tuttavia, in letteratura una chiara descri- zione di tale stato e l’esperienza clinica mette in luce che il grado di malessere negli stati di malattia, e in particolare quelli febbrili, può variare molto nella sua espressività e intensità, da livelli modesti di disagio a marcato senso di malessere. Un recente studio mostra che le variazioni comportamentali nel bambino sono indipendenti dall’aumento del valore della temperatura corporea e che alcuni bambini continuano normalmen- te a giocare come sempre o manifestano solo una lieve stanchezza anche con temperature molto elevate, men- tre altri mostrano esternazioni più importanti di disagio con rialzi termici più modesti 10.
Gli studi presenti in letteratura non permettono di indi- viduare una definizione univoca di discomfort, poiché i parametri presi in considerazione e gli ambiti in cui vengono studiati sono molto variabili; la maggior parte della produzione scientifica prende in considerazione aspetti “generici”, come il nervosismo, il fastidio, il do- lore, la paura, la noia, la stanchezza 11 o si riferisce a funzioni di base come il sonno, l’alimentazione e il livello di attività 12. Altri Autori individuano anche ele- menti come la mancanza di iniziativa o di vivacità, la presenza di disturbi dell’umore, il lamento fino al pian- to inconsolabile o la riduzione delle relazioni sociali e la perdita generale di interesse 13-20.
Quasi tutti gli studi esaminati utilizzano informazioni raccolte dai genitori, mentre sono relativamente pochi i tentativi di costruzione di scale osservative per la va- lutazione oggettiva del discomfort, che invece viene incluso come parametro all’interno di lavori sulla valu- tazione del dolore nel bambino in condizioni cliniche complesse (malattie oncologiche, croniche, condizioni acute che richiedono ospedalizzazione o indagini pro- cedurali invasive) 11. In un solo lavoro 10 sono stati stu- diati i cambiamenti comportamentali nel bambino con febbre, cercando di individuare le componenti cliniche e la loro relazione con la febbre.
Inoltre, gli studi incentrati sulla febbre nel bambino si sono occupati del discomfort prevalentemente in rela- zione alle modalità di intervento e cura senza averne fornito una definizione univoca.
Certamente una valutazione quantitativa del malessere è più complessa rispetto alla rilevazione della tempera- tura corporea; la stima e definizione del malessere del bambino con febbre può non essere semplice, sia per la mancanza di riferimenti chiari e definiti, sia per il rischio di un’interpretazione eccessivamente soggettiva e poco affidabile su cui potrebbe inserirsi anche un’a- simmetria informativa nel rapporto medico-paziente.
Gli studi in ambito della psicologia dello sviluppo possono offrire alcuni riferimenti per individuare e de- finire il livello di malessere espresso da un bambino in caso di stato febbrile. Condivisione generale è che i segnali aspecifici di distress più frequenti nel bambino riguardino:
- cambiamenti sul piano comportamentale;
- cambiamenti dell’umore;
- alterazioni del ritmo sonno-veglia, dell’alimentazio- ne, del livello di attività, degli interessi, del gioco;
- comparsa di manifestazioni di irritabilità e agitazio- ne, lamentele, pianto;
- ritiro o disfunzionalità nelle modalità di interazione
Ciò che davvero è rilevante per valutare situazioni di disagio è tuttavia un sostanziale cambiamento del funzionamento abituale del bambino, sia rispetto alle tappe di sviluppo tipico che in relazione alle caratteri- stiche individuali e temperamentali 21.
Le modalità con cui un bambino manifesta il proprio disagio sono legate a diversi fattori che vanno tenuti in considerazione nella valutazione soggettiva: età, sesso, livello di sviluppo cognitivo, cultura di apparte- nenza, paura, credenze e rappresentazione della ma- lattia, vissuti emotivi, personalità, componenti familiari, ambiente in cui vive e la reazione del contesto al suo discomfort. Esistono, inoltre, differenze individuali do- vute alla diversa sensibilità e al diverso temperamento e, in presenza di una sintomatologia dolorosa associa- ta a febbre, è d’obbligo considerare le variazioni dei vissuti emotivi, i processi mentali e le manifestazioni comportamentali messe in atto da ciascun individuo. Nei bambini più piccoli è più difficile individuare i sin- tomi del malessere, in quanto si osserva un’oggettiva difficoltà nel comunicare un disagio (perché in età pre- verbale o perché meno in grado di indicare le proprie sensazioni) ed è, quindi, necessario interpretare segnali più macroscopici e generali, per lo più di tipo compor- tamentale, quali ad esempio l’irritabilità, la riduzione dell’attività o iperattività, la riduzione dell’appetito, le alterazioni del ritmo sonno-veglia. Nel bambino in età scolare, nel quale è più semplice identificare alcuni ele- menti clinici, quali il dolore muscoloscheletrico diffuso o la cefalea che accompagnano spesso il rialzo febbrile, non vanno sottovalutati vissuti emotivi o paure correlate alla malattia che possono interferire con la segnala- zione dei sintomi (minimizzazione o esagerazione del disagio o del dolore, paura di essere medicalizzato). La famiglia ha poi un’influenza notevole sulla manife- stazione e valutazione del disagio del bambino. Fattori rilevanti nella lettura del disagio del bambino possono essere legati a fattori socioculturali, ma possono inter- venire nell’interpretazione del malessere anche la storia familiare e clinica, i bisogni e le paure dei genitori, aspetti emotivi, lo stile di coping familiare, la rappre- sentazione della malattia ed infine la qualità della rela- zione medico-paziente.
Partendo da queste considerazioni appare importante definire che cosa si intenda per discomfort del bambi- no febbrile in senso descrittivo e operativo e valutare se possa rappresentare un’entità misurabile attraverso uno strumento sintetico, pratico, con un linguaggio suf- ficientemente comunicativo che possa essere utilizzato dai Pediatri e compreso dai genitori e dai caregivers. In questo contesto occorre tener presente che va diffe- renziata la ricerca dei segnali di discomfort, finalizzata alla gestione della febbre, da quella dei sintomi specifici che attengono, invece, al processo di riconoscimento della causa della febbre e determinano l’orientamen- to clinico e l’intervento terapeutico specifico, al fine di garantire un percorso clinico adeguato e una precoce identificazione di situazioni di emergenza. Cefalea e artromialgie, in quanto espressioni di dolore, seguiranno uno specifico percorso di gestione, indipendentemente dalla correlazione a uno stato febbrile. È altresì impor- tante lo sviluppo di un approccio che eviti il rischio di medicalizzare eccessivamente il discomfort.
Tenendo conto dell’evidenza clinica e degli studi pre- senti in letteratura si possono isolare alcuni indicatori comportamentali rilevanti e tipici, valutabili in senso generale e facilmente identificabili nei termini di una variazione significativa delle normali abitudini del bam- bino, partendo dalle informazioni che si possono rac- cogliere dai caregivers.
Dunque, macroscopicamente appare utile considera- re innanzitutto parametri quali la variazione del ritmo sonno-veglia, la variazione dell’appetito, dell‘attività motoria, del tono dell’umore, delle abitudini quotidiane
TABELLA I.
Segnali di malessere del bambino febbrile.
Segnali di malessere |
Variazioni del ritmo sonno-veglia | Fase di sonno ritardata |
Fase di sonno anticipata | ||
Risvegli notturni | ||
Variazioni dell’appetito | Mangia di meno | |
Non assume liquidi | ||
Variazione dell‘attività motoria | Irrequietezza | |
Agitazione | ||
Debolezza | ||
Affaticamento | ||
Variazione del tono dell’umore | Irritabilità | |
Rabbia | ||
Pianto | ||
Variazione nelle abitudini quotidiane | Non gioca | |
Non mostra interessi | ||
Ricerca di conforto | ||
Non collaborativo | ||
Variazione dell’espressione del volto | Cambiamento sguardo | |
Denti serrati | ||
Labbra arricciate | ||
Fronte corrugata | ||
Pallore/cambiamento colorito | ||
Altri segnali | Tachipnea | |
Brividi | ||
Dolenzie diffuse |
e altri segnali; ciascuna dimensione può comprendere diverse ulteriori valutazioni, che possono favorire la co- municazione con i caregivers.
A tal scopo, viene di seguito proposta una tabella (Tab. I) utile nella pratica clinica per il riconoscimento dei segnali di malessere.
Il miglioramento della capacità dei genitori e caregi- vers nel riconoscimento e nel monitoraggio dei segnali di malessere può permettere una migliore gestione del- la febbre raggiungendo il duplice obiettivo di salva- guardarne la sua natura benefica evitando trattamenti inappropriati o non necessari e di intervenire, quindi, solo in caso di malessere poco governabile dai sistemi di accudimento famigliare.
USO RAZIONALE DEGLI ANTIPIRETICI
Nonostante i pochi dati specifici di letteratura a ri- guardo del trattamento dello stato di discomfort del bambino con febbre 22-24, il paracetamolo appare lo strumento farmacologico maggiormente indicato e rac- comandato, sia in termini di sicurezza ed efficacia, sia in quanto in grado di ridurre il disagio del bambino, portando a un miglioramento sintomatico precoce in corso di malattia febbrile.
In uno studio randomizzato condotto in doppio cie- co e controllato verso placebo è stata valutata la sua efficacia in 210 bambini (6 mesi-6 anni) con febbre associata a infezione non complicata delle vie aeree superiori. L’assunzione di 15 mg/kg di paracetamolo ha determinato un miglioramento del comfort del pa- ziente (p < 0,001). Dopo 6 ore dal trattamento sono migliorati lo stato di attività (60%), l’allerta (58%), l’u- more (36%), l’appetito (20%) e l’assunzione di liquidi (22%) (p < 0,001) 22.
Paracetamolo e ibuprofene sono attualmente gli unici farmaci raccomandati per il trattamento della febbre in età pediatrica. Paracetamolo è il principio attivo di riferimento per l’età pediatrica per la gestione del sin- tomo febbre, nonché l’unico indicato fin dalla nascita. Ibuprofene è indicato a partire dai 3 mesi d’età.
Numerosi studi confermano l’efficacia dei due antipire- tici, se utilizzati alle dosi corrette 2.
L’aggiornamento 2016 delle linee guida della Società Italiana di Pediatria per un’ottimale gestione della feb- bre in età pediatrica, raccomanda la somministrazione di paracetamolo alla dose di 15 mg/kg ogni 6 ore fino a un massimo di 60 mg/kg/die. Nel neonato e nel lattante fino a 3 mesi è appropriato un dosaggio prossimo ai 10 mg/kg/dose, fino a un massimo di 40 mg/kg/die. Le stesse linee guida raccomandano, qualora venga utilizzato ibuprofene, un dosaggio di 10 mg/kg/dose fino a 3 somministrazioni al giorno (dosaggio terapeutico 20-30 mg/kg/die).
In uno studio di confronto tra i due farmaci 18 alle dosi raccomandate dalle linee guida, ovvero ibuprofene alla dose di 10 mg/kg/dose e paracetamolo alla dose di 15 mg/kg/dose, è stata osservata equivalen- te efficacia e tollerabilità.
È da notare, tuttavia, che recentemente l’Agenzia
Francese per la Sicurezza dei Medicinali (Agence Nationale de Sécurité de Médicament et des Produits de Santé) ha condotto un’indagine di farmacovigilanza in relazione all’aumento di segnalazioni di gravi com- plicanze infettive a seguito dell’assunzione di ibuprofe- ne e ketoprofene usati per il trattamento della febbre o del dolore in età pediatrica. Per tale motivo, a fronte del rischio di complicanze infettive associate all’uso del FANS, l’ANSM consiglia a caregivers e operatori sa- nitari di favorire l’uso di paracetamolo 25. Peraltro, già nel 2010 il working group pediatrico AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) aveva raccomandato cautela sull’uso dei FANS (farmaci antinfiammatori non steroi- dei) nei bambini a causa del rischio di tossicità (tratta- menti farmacologici, vomito, stato di disidratazione); è raccomandata cautela in casi di grave insufficienza epatica o renale o in soggetti con malnutrizione grave. La pratica dell’uso combinato o alternato di antipiretici è, inoltre, ancora oggetto di discussione e spesso abusa- ta: le linee guida italiane sconsigliano l’utilizzo abbinato di paracetamolo e ibuprofene a causa della scarsità de- gli studi disponibili a riguardo, della mancanza di dati sulla sicurezza dell’uso in combinazione o alternato 26 e dello scarso vantaggio clinico potenzialmente ottenibile. Inoltre, l’indicazione all’uso combinato e alternato può aumentare la preoccupazione del genitore senza tradur- si in un reale vantaggio per il bambino.
Il paracetamolo rimane, dunque, l’antipiretico di fidu- cia dei caregivers e dei pediatri italiani: i risultati di una survey condotta nel 2012 indica il paracetamo- lo come prima scelta per la gestione della febbre da parte dei pediatri italiani (98,3%), preferenzialmente per via orale 27. Questo dato è stato confermato da un’indagine più recente, in cui l’82,3% dei responders (Pediatri di famiglia, ospedalieri e caregivers) ha ritenu- to il paracetamolo orale come il farmaco di prima linea per la gestione della febbre, motivando la scelta con la migliore tollerabilità rispetto ad ibuprofene a parità di efficacia 28.
CONCLUSIONI
Le linee guida sulla gestione della febbre in età evoluti- va suggeriscono di trattare il paziente febbrile soltanto in caso di discomfort (malessere). Tuttavia, non essendo
presente in letteratura una definizione chiara e univoca di discomfort, l’approccio prevalente al paziente feb- brile è ancora orientato a perseguire principalmente l’obiettivo di abbassare la temperatura con la sommi- nistrazione dell’antipiretico oltre un determinato cut-off. Benché sia stato ben recepito il concetto che l’aumento della temperatura corporea rappresenta un meccani- smo fisiologico e benefico per contrastare le infezioni, che ne sono la causa più frequente in età pediatrica, l’alterata percezione del “rischio” correlato alla febbre continua a persistere nell’opinione comune e coinvolge non solo genitori/caregivers, ma anche medici, farma- cisti e operatori sanitari.
Gli studi presenti in letteratura non permettono di indi- viduare una definizione univoca di discomfort, poiché i parametri presi in considerazione e gli ambiti in cui vengono studiati sono molto variabili.
Ciò che davvero è rilevante per valutare situazioni di disagio è tuttavia un sostanziale cambiamento del funzionamento abituale del bambino, sia rispetto alle tappe di sviluppo tipico, che in relazione alle caratteri- stiche individuali e temperamentali.
Tenendo conto dell’evidenza clinica e degli studi pre- senti in letteratura si possono isolare alcuni indicatori comportamentali rilevanti e tipici, valutabili in senso generale e facilmente identificabili nei termini di una variazione significativa delle normali abitudini del bam- bino, partendo dalle informazioni che si possono rac- cogliere dai caregivers.
Dunque, macroscopicamente appare utile considerare innanzitutto parametri quali la variazione del ritmo son- no-veglia, la variazione dell’appetito, dell‘attività mo- toria, del tono dell’umore e delle abitudini quotidiane; ciascuna dimensione può comprendere diverse ulteriori valutazioni, che possono favorire la comunicazione con i caregivers.
È indispensabile un coinvolgimento operativo esteso (medici, farmacisti, operatori sanitari e caregivers) sull’obiettivo principale del trattamento della febbre del bambino, ovvero il sollievo dal malessere indotto dal rialzo febbrile e non l’abbassamento della temperatura corporea oltre un determinato cut off 2.
Occorre sostenere i genitori e i caregivers nel ridurre la medicalizzazione dei sintomo/segno febbre ma al tempo stesso nel non rischiare di medicalizzare i segni di malessere quando essi possano essere gestiti e conte- nuti da un adeguato stile di accudimento famigliare evi- tando di investire nel farmaco quando non necessario.
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ALLEGATO A
Analisi della ricerca bibliografica (Ricerca Pubmed).
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COMPRENDERE IL DISCOMFORT PER IL TRATTAMENTO APPROPRIATO DELLA FEBBRE